Antologia Critica

Testo | Critiche

[…] Siragusa, più di tutti riprende, nelle opere astratte, riutilizza materia per rifonderla, per poter giungere ad una ricerca di forme senza colore, comunicative in sé; il suo uso del bronzo parte da un concetto di riutilizzo per indirizzarsi poi verso nuove esperienze, forse non ultima la possibilità di conversione di alcuni elementi di design. Le opere figurative riportano anch’esse alla tradizione, alla sapienza e alla poeticità di elementi antichi […]

Adelaide Lucia Corbetta, in “Tonominore”, 1997


[…] Se si osservano le sculture, ci si accorge che sono tutte composte da più elementi. L’assenza di un unico corpo non è casuale, è anzi particolarmente significativa. Una pluralità di presenze indica una concezione della realtà complessa, non univoca e comunque da non potersi esaurire in una sola presenza. Questa concezione ha uno stretto rapporto con le modalità di lavoro. L’artista infatti è solita recuperare, direttamente in fonderia, scarti di altre fusioni che poi le servono per comporre le proprie opere. Questo porsi alla ricerca di forme derivate, di frammenti che, staccati dall’unità a cui appartenevano, riacquistano la libertà di significato altro, è il realizzarsi di un sentire intimo, di un ritrovarsi nell’esplorazione di un fuori che non ha termine. […]

Giovanni Maria Accame, in “Due generazioni a confronto”, 1998


[…] senz’altro la più matura appare la bresciana Rita Siragusa, con lavori in bronzo assai perentori, sia quando riscatta a nuova vita, nella dignità della composizione formale, pezzi di materia grezza, elementi di recupero che saldano forme famigliari e remotamente primigenie, sia quando rivisita la tradizione della figura con fiera aggressività o audace deformazione. […]

Fausto Lorenzi, in “Il Giornale di Brescia”, 1998


[…] devo anche confermare una corrispondenza psico-fisica con il singolo elaborato plastico, per cui interagisce in me il desiderio di separazione e congiunzione. L’idea di poter dar vita a una forma abbandonata, mi rimette in gioco come artista e assumo coscientemente la responsabilità dell’atto creativo […]

Rita Siragusa, in “In equilibrio con forza tra smontaggio e rimontaggio”, 1999


[…] le opere di questa giovane scultrice si fanno leggere e ammirare per i ritmi plastici e le pause riflessive che le attraversano, per quel percorso di “smontaggio e rimontaggio” che caratterizza una ricerca volta alla conquista di un equilibrio di segni e di volumi che sembra voler rappresentare la spoglia solennità di antiche architetture. Composizioni verticali, semplificazioni volumetriche liberate da ogni valenza espressiva o metaforica compongono un itinerario plastico in cui “ogni icona”, scrive Andrea Del Guercio, “vive di vita propria attraverso un sistema di aggregazioni di elementi sintomatici di un sensibile processo normale di confronto. […]

Giorgio Trevisan, in “L’Arena”, 1999


Immagino l’importanza che da sempre la lettura e il giudizio di una mostra di scultura debba seguire quasi fisicamente il tragitto dello spazio occupato dai manufatti plastici; […] la lettura itinerante rispondente alla necessità di tridimensionalizzazione linguistica della scultura permette la percezione effettiva di una poetica fatta cioè di piccoli brevi spostamenti di elementi di configurazioni provate e riprovate, montaggio e rimontaggio alla ricerca di un equilibrio nel quale pure non si perdono anzi direi si accentuano valori di peso, di dimensione direi a tratti di aggressività mimetizzata, di uno stato di tensione che ricollega, in maniera positiva, l’opera della giovane scultrice ad un sistema espressivo che attraversa la storia della scultura contemporanea. Il concetto di equilibrio-disequilibrio non è sinonimo di effimero, di vuota leggerezza, ma ragione di forza e di rigore di fronte alla sfaccettata complessità del reale e dei suoi diversi livelli di riflessione. […]

Andrea Del Guercio, in “Il parco della Scultura”, 1999


[…] In sostanza una voce che esca più dall’interno dell’opera o dell’oggetto già codificato in sé come tale che da un vero e proprio accanimento espressivo e formale dell’artista su di esso. Se pensiamo alla fonte della maggior parte dei lavori di Rita, al loro essere prodotti assemblati di materiale da riporto, scarti di fonderia o di industria, reperti di una funzionalità già trascorsa o addirittura privi di una loro funzione e quindi appunto oggetti scartati, ci possiamo convincere che tale possa essere il suo punto di partenza […]. Da lui (Igino Legnaghi) e dalla sua scultura virile, tecnocratica e insieme espansiva relazionale, ha appreso soprattutto un senso tutto implicito della misura della costruzione. Il saper vedere oltre gli accadimenti, cioè oltre la cronaca del materiale recuperato, dando agli assemblaggi il nitore costruttivo e insieme una insinuante indocilità formale. […]

Riccardo Prina, in “Rita Siragusa”, 2001-2002


[…] In questa “dolcezza”, che emerge per contrasto dalle forme e dai materiali per loro natura duri, compatti, resistenti, si fa luce il bisogno – lieve anch’esso, per accenni, non mai gridato – di cromie, quelle stesse che il ferro assume nel suo ossidarsi nell’atmosfera – è l’esterno “vero” progettato che ritroviamo nella più giovane Siragusa, il cui più instabile equilibrio, che solo alla fine viene ricondotto a misura, documenta una nuova dimensione epocale, una diversa lettura generazionale del mondo, e si rapporta con le maggiori insicurezze di un’età dai troppo profondi contrasti. […]

Mauro Corradini, in “BresciaOggi”, 2002


Il concetto che anima e muove le sculture di oggi, quelle realizzate prima in ferro e poi in bronzo, tiene conto in maniera duplice della storia, quella generale e quella della scultura. Mi sembra che il ferro, così antico e originario, abbia la capacità di raccontare la storia sia nella sua forma che nella sua presenza diretta. Cerco una identificazione storica, proprio come strato e come registrazione fisico-oggettiva con la storia della scultura; ne deriva una libertà espressiva reale. Adopero per le sculture lamiere e scarti di fonderia che l’uso precedente ha legittimato per anni socialmente, produttivamente, mi piace che queste siano insieme alle tracce che io lascio nella nuova destinazione plastica, di scultura. Il ferro ha anche tale storia, storia umana, fisica, artistica come storia delle forme e della scultura e degli uomini che la guardano. […]

Rita Siragusa, in “III Biennale Postumia Giovani”, 2002


[…] quanto nella leggerezza, da cui siamo partiti, di Rita Siragusa che libera nel cielo il suo volo (e la sua voce) al femminile (Sinuosa): è una traccia aerea per seguire un pensiero, forse un sogno, un’immagine costruita nell’ombra da una fenditura aperta alla luce; ma un pensiero o un sogno che non vuole confinarsi, concludersi, nello spazio ristretto del terreno […]

Mauro Corradini, in “Identità identica. Dedicato a tutte le donne”, 2003


[…] Siragusa ha fatto collidere un’idea antica quanto l’arte, la tarsia di materie, e la nevrosi moderna della desensibilizzazione del materiale, reso in sé indifferente da una concezione puramente plastica. Ha concepito, così, luoghi fatto primariamente di spazi, fatti di materie dalle consistenze, dalle evidenze superficiali e luministiche, dai sapori diversi, siano essi la lamina metallica variamente polita o quella plastica. Ha lavorato sulla forza oggettiva di quelle linee confinarie, sullo scarto tra colori e sostanze; rese, quelle linee, davvero rapporti di forza tanto quanto snudati meccanismi del pensare differenza. Ha lasciato che tali intarsi si articolassero, espandendosi, a farsi organismo strutturato, accettando la propria shape complessiva a sua volta irregolare, quasi un’eco dell’antico hard edge ma questa volta non involvente i rapporti tra forma artistica e ambiente, bensì riverberante l’interna spaziosità della forma plastica verso l’esterno, in un philum teoricamente illimitato. […]

Flaminio Gualdoni, in “Rita Siragusa. Un certo incanto”, 2003


[…] Rita Siragusa ha realizzato nell’anno in corso una serie di piccole sculture in ferro, acciaio e bronzo, strutture che somigliano a figure astratte animate da movimenti reali, figure che volteggiano e si lasciano trasportare dall’emozione dell’aria che sollecita le loro movenze. Si tratta di segnali inquieti che rivelano la predilezione per le superfici appena curvate, leggermente piegate su se stesse, appena toccate da soffi d’ombra, con leggera apprensione verso ciò che sta per accadere, come se lo spazio dovesse rivelarsi nel sinuoso deviare dalla linea retta. […] Soprattutto, si sente il desiderio di prendere possesso dello spazio come strumento per misurare la portata del pensiero che progetta, realizza, verifica, cambia posizione, si contraddice fino a stabilire le dimensioni idonee a realizzare la materia dei sogni. In un altro gruppo di piccole sculture ottenute piegando la superficie per linee rette le utopie di Rita Siragusa si proiettano oltre lo specchio, diventando schermi per traguardare lo spazio, l’occhio entra ed esce nello stesso istante, resta sospeso su soglie impossibili da decifrare: si affacciano sul vuoto o vengono dal vuoto? Il fatto è che il vuoto rovescia il rapporto di forza con il pieno, le superficie di ferro si fanno anonime e diventano l’ombra della scultura, i tagli che delimitano i piani costruttivi stanno in bilico tra presenza e assenza, l’identitò dello spazio coincide con le sue parti immateriali. […] Se da un lato l’artista è affascinata dal processo di svuotamento dell’ingombro fisico, dall’altro ne ricompone il senso in un diverso ciclo di lavori dedicato all’idea di scultura bifrontale, costruita per piani sovrapposti, ermeticamente conchiusi, con minime aperture visibili al suo interno. […] Le strutture bifrontali mostrano diversi piani di lettura delle forme sovrapposte, lo schema plastico è mutevole, variato sui contrasti chiaroscurali e sul fatto che la luce incontra i profili ritagliati sulla superficie creando balzi d’ombra che rafforzano l’immagine. […]

Claudio Cerritelli, in “Rita Siragusa”, 2005


[…] L’intero percorso (decennale) di Rita Siragusa è racchiudibile, a partire dalla metà degli anni Novanta, sostanzialmente in due diverse linee di ricerca: da un lato il recupero della materia, attraverso il riuso a fini espressivi dei materiali di scarto (inizialmente) o di materiali già segnati dal carattere utilitaristico e pertanto dotati di un significato condiviso, convenzionale (e parliamo di scarti, dal momento che Siragusa, lontana dalle poetiche dadaiste non ha mai utilizzato l’oggetto nella sua interezza); dall’altro lato l’assunzione di forme semplici, un ritorno alle strutture primarie, agli archetipi geometrici della composizione, per realizzare composizioni astratte, miranti a un tempo a trasferire nell’opera il senso della leggerezza e della verticalità, una sorta di spinta ascensionale interna alle forme per esprimere una tensione intravista nell’innalzarsi delle figure (per esempio Intervista con il ferro, 2000), oppure il senso della leggerezza, a contrastare e contraddire il materiale impiegato, il ferro, come in Sinuosa, 2003: quasi che la forma possa assumere un significato solo nella contraddizione interna, sottolineando il dissidio. […] le nuove sculture di Siragusa […] appaiono compatte e inquiete, appaiono come la ricomposizione del caos, si propongono attraverso la dimensione visibile dell’inatteso. […] Ha bisogno del rigore e dello scardinamento, della misura e della rottura, della lucida opacità del metallo e della frenesia corrosiva dell’ossidazione che inventa nuovi scenari mentali, dell’apparente regolarità formale e dei leggeri scarti che ne compromettono l’assolutezza; crea una circolazione di emozioni e di senso, che possono coesistere nello spazio, solo nello spazio ristretto, dell’opera. Una frenesia sottesa e una superficie rigorosa e accidentata: duplicità che sembra approdare a una forma di classicità ri-trovata. Lo spazio tende alla luce; la luce modella, costruisce, dà vita ai movimenti inesplorati del rigore; come se ad ogni istante, Siragusa affermasse e negasse, cercasse di tradurre tutta la vita che sfugge ai nostri sensi e tentasse di fermarla attraverso il rigore e la casualità delle ossidazioni […]

Mauro Corradini, in “Rita Siragusa”, 2005


[…] Sul fronte opposto opera Rita Siragusa. La pesantezza è il segno stilistico delle sue architetture in ferro e bronzo. L’equilibrio delle forze e il calcolo dei pesi diventano i protagonisti della scultura, perché si manifestano come forma espressiva nel manufatto artistico. I metalli e le leghe assumono posizioni ardite, si piegano alla volontà creativa e restano sospese nello spazio, come sul punto di collassare. Stasi, e ancora una volta si dissimula la leggerezza. Il nero opaco marca fortemente la forma, che individua se stessa nello spazio in cui è ospitata, integrandosi a esso senza confondersi né interferire. La ruggine è invece il segno evidente del passare del tempo, voluto e pensato già in fase di ideazione e realizzazione. Ecco il segreto dell’opera di Rita Siragusa: magnetica ed enigmatica, meditativa e solitaria, simbolo totemico della nostra civiltà.

Lorenzo Respi, in “Metallo armonico”, 2007